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Nutrienti, Patologie

Lipidosi epatica: il corretto supporto nutrizionale fa la differenza.


mercoledì 23 ottobre 2019


Lipidosi epatica: il corretto supporto nutrizionale fa la differenza

La lipidosi epatica rappresenta la malattia metabolica epatica più comune nel gatto ed è caratterizzata da un eccessivo accumulo di trigliceridi nel fegato con conseguente disfunzione epatica e colestasi intraepatica. Essa può essere primaria e idiopatica oppure insorgere come conseguenza di malattie che causano anoressia con perdita improvvisa di peso (come pancreatiti o patologie infiammatorie intestinali)

Tuttavia, anche gatti clinicamente sani possono andare incontro a lipidosi se sospendono l'assunzione del cibo improvvisamente e per un periodo relativamente prolungato (2-7 giorni), ad esempio per rifiuto di un nuovo cibo o per situazioni che lo portano ad uno stato di stress eccessivo. I gatti in sovrappeso od obesi sembrano maggiormente predisposti allo sviluppo di questa patologia, soprattutto quando vanno incontro a periodi di dimagrimento rapido, in quanto, l'eccessiva mobilizzazione di acidi grassi dalle loro riserve lipidiche periferiche altera la capacità epatica di utilizzazione e distribuzione del grasso, con conseguente accumulo. I primi sintomi riferiti dal proprietario sono inappetenza, vomito, perdita di peso, letargia e debolezza e alla visita clinica l'animale si presenta disidratato con pelo arruffato e itterico. Gli esami di laboratorio generalmente mostrano un'anemia non rigenerativa spesso associata a poichilocitosi (dovuta ad una alterazione della membrana lipidica dei globuli rossi), corpi di heinz e leucogramma da stress mentre gli esami biochimici, di solito, sono caratterizzati da un innalzamento dei valori di ALT e ALP, iperbilirubinemia e aumento degli acidi biliari. L'esame ecografico rivela un aumento della ecogenicità del fegato e può essere utile per effettuare un ago aspirato per un esame citologico in cui si riscontrano vacuoli lipidici epatocellulari abbastanza suggestivi di questa patologia.

La lipidosi epatica è un processo potenzialmente reversibile, nonostante la sua gravità e, negli ultimi anni, la sua prognosi è notevolmente migliorata grazie all'utilizzo di un corretto supporto nutrizionale attraverso il ricovero dell'animale e una nutrizione enterale adeguata. Quest'ultima consiste nell'inserimento di un sondino naso-esofageo o naso-gastrico per la somministrazione forzata di un alimento che sia in grado di soddisfare le esigenze caloriche e proteiche dell'animale.  Naturalmente deve essere trattata, contemporaneamente, anche la causa primaria che ha scatenato l'inappetenza del gatto.

Il supporto nutrizionale dell'animale va studiato attentamente sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, infatti un'alimentazione eccessiva o l'inserimento troppo rapido del cibo, in un animale anoressico, può causare la cosiddetta "sindrome da refeeding". Essa consiste in uno shift elettrolitico dal comparto extracellulare a quello intracellulare, causato dalla rapida risalita dei livelli di insulina a seguito della reintroduzione di energia (soprattutto di carboidrati) dopo un periodo di anoressia. L'insulina favorisce il passaggio di glucosio nel comparto intracellulare che porta con sé anche gli ioni potassio e fosforo: la conseguenza è un ipokalemia e ipofosfatemia con debolezza muscolare, aritmie, emolisi, fino a possibile morte.

Al fine di ridurre il rischio di questa sindrome è fondamentale calcolare con attenzione l'apporto energetico e scegliere un alimento che contenga una ridotta quantità di carboidrati.

Innanzitutto, bisogna calcolare il fabbisogno energetico a riposo dell'animale (RER), attraverso la formula 70 x (peso dell'animale)0,75, e la quantità di alimento che il gatto dovrebbe assumere per soddisfare questo fabbisogno. Questa quantità, però, non va inserita tutta immediatamente ma somministrata gradualmente, iniziando il primo giorno con circa il 25% e aumentando piano piano in base allo stato di salute dell'animale. Nel caso in cui il cibo venga somministrato attraverso una sonda, esso dovrà essere in forma pressoché liquida e dovrà essere diviso in diversi pasti, per evitare una sovradistensione dello stomaco, ricordando che la capacità gastrica di un animale si aggira intorno ai 5-10 ml ogni kg di peso dell'animale.

L'alimento dovrà essere altamente digeribile e ad elevata densità energetica, contenere un elevato quantitativo di proteine (30-45% su S.S.), un adeguato quantitativo di grassi e un ridotto contenuto di carboidrati. Questi ultimi, oltre ad aumentare il rischio della sindrome da refeeding, possono causare diarrea, borborigmi e crampi addominali.  L'energia metabolizzabile dell'alimento dovrebbe essere apportata per il 30-40% da proteine, per il 50% da lipidi e per meno del 20% da carboidrati.

La restrizione proteica andrebbe assolutamente evitata, fatta eccezione per gli animali che mostrano segni di encefalopatia epatica.

La fonte proteica dovrà essere di elevato valore biologico e, in caso di lipidosi epatica, sarà ancor più importante valutare il profilo amminoacidico della dieta. Infatti, è stato dimostrato che l'alimento da somministrare dovrebbe contenere un'elevata quantità di arginina (1,5-2% su S.S.) e ovviamente contenere un quantitativo adeguato di taurina, un amminoacido essenziale nel gatto, che svolge funzioni essenziali nel fegato come la coniugazione degli acidi biliari e l'azione antiossidante in situ nei confronti dei neutrofili e dei globuli rossi. Se un alimento umido per gatti adulti sani deve contenere almeno lo 0,2% su S.S. e un alimento secco almeno lo 0,1% di taurina, nel caso di un alimento per lipidosi epatica si consiglia che esso contenga almeno lo 0,3% su S.S.

In alternativa la taurina può essere aggiunta alla razione con un dosaggio di 250-500mg/die per gatto.

Sarebbero da prediligere alimenti che contengano soprattutto amminoacidi a catena ramificata (come la valina, l'isoleucina e la leucina) a discapito di amminoacidi aromatici (tirosina, felinalanina e triptofano), innanzitutto, perché essi non vengono metabolizzati a livello epatico, ma a livello del muscolo scheletrico, e poi perché sembrano avere degli effetti positivi sul bilancio azotato del paziente.

Infine, alcuni autori suggeriscono di integrare la dieta con un altro amminoacido, L-carnitina, per la sua capacità di diminuire la concentrazione di acidi grassi a livello plasmatico e favorire l'eliminazione dei trigliceridi in eccesso all'interno degli epatociti.

Anche la fonte lipidica andrebbe controllata, prediligendo lipidi maggiormente digeribili e valutando la possibilità di utilizzare in piccola parte anche acidi grassi a media catena. Inoltre, l'aggiunta di EPA e DHA risulterebbe utile sia per la loro azione antinfiammatoria, sia perché l'utilizzo di questi omega 3, associata ad una diminuzione della quantità di acidi grassi saturi, sembra portare ad una riduzione della colesterolemia.

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